Immaginate di poter intervistare il protagonista di un libro. Un’avventura di vita. No, non è impossibile. Si tratta di Mohamed Keita, il protagonista di una delle storie di “In mezzo al mare” di Mary Beth Leatherdale, Il Castoro, 2019.
Il giovane appare sorridente ed emozionato nel corso dell’incontro previsto per il 4 dicembre, trasmesso in diretta su YouTube a cui hanno partecipato gli studenti di due classi del Liceo Ariosto di Ferrara che hanno potuto ascoltare la sua storia. L’evento si è tenuto in collaborazione con la Biblioteca Giardino di Ferrara, che ha collaborato a questo progetto con altri enti, tra cui Tutori del tempo.
Mohamed è un fotografo di ventisette anni, originario della Costa d’Avorio che abita ora in Italia, a Roma. Fin qua sembra una storia normalissima, se non fosse che Mohamed ha dovuto abbandonare la sua terra a soli quattordici anni, dopo la morte dei suoi genitori durante la guerra civile. Lasciato il suo Paese, ha attraverso la Guinea, il Mali, l’Algeria, il Sahara, la Libia, Malta e, nel 2010 (all’età di diciassette anni), è finalmente sbarcato in Italia. A vederlo, non si riesce a credere che quel giovane ragazzo abbia dovuto affrontare tutto questo: è simpatico, disponibile a rispondere a tutte le domande e le curiosità, pronto a mettersi in gioco e ancora fiducioso nell’uomo, nonostante la sua esperienza.
Il viaggio raccontato da Mohamed è molto simile all’Odissea vissuta da Odisseo: un doloroso vagare alla ricerca di casa. In questo caso il focus su cui l’ascoltatore si concentra non è la meta, ma il viaggio stesso. Mohamed ha descritto e raccontato la sofferenza provata nel dover lasciare la terra natia, la precarietà e la paura scaturite dalle condizioni del viaggio e dalla non conoscenza della lingua. Con chi avrebbe viaggiato, dove sarebbe arrivato, che lingua avrebbe dovuto imparare? E in quel mare di dubbi, come rimanere a galla? “Mi dovevo adattare, dovevo andare avanti e restare sempre lo stesso Mohamed” afferma.
La storia di Mohamed sembra divisa in capitoli tutti da scoprire e da conoscere: la fuga dalla Costa d’Avorio, il viaggio sul barcone, le notti passate a dormire su un marciapiede, i Paesi attraversati prima di giungere in Italia, fino ad arrivare alla sua vita da fotografo.
E’ infatti grazie alla fotografia che Mohamed ha trovato il suo riscatto. L’arte ha costituito per il giovane migrante uno strumento attraverso il quale parlare del proprio vissuto, condividendolo. I suoi scatti, nati per conservare memoria dei momenti che hanno segnato la sua vita, sono diventati col tempo un modo per esprimere a pieno chi sia Mohamed e quale sia la sua storia.
“La prima fotografia l’ho fatta per me, per non perdere i ricordi, e questa mi ha avvicinato alle persone, portavo avanti una cosa che altri mi hanno insegnato, mi ha dato la possibilità di combinare, nelle fotografie, il vissuto con quello che stava accadendo.”
Le foto hanno riscosso successo e lo hanno portato ad esporre i suoi lavori ad alcune mostre e a far conoscere la vicenda che lo ha coinvolto, successivamente riportata dalla scrittrice Mary Beth Leatherdale nel libro “In mezzo al mare”, una raccolta di storie di giovani rifugiati.
L’intenso discorso di Keita, che ha suscitato molteplici riflessioni nel pubblico, è stato intercalato dagli interventi di Luca Attanasio, esperto di geopolitica e fenomeni migratori che ha descritto i suoi soggiorni in svariate zone del mondo fornendo dati inquietanti circa la condizione di una fetta di umanità troppo spesso ignorata: i bambini. Sono circa 80.000.000 i migranti forzati a partire ogni anno e di questi ben il 40% sono minori non accompagnati. Ciò significa che lo straziante viaggio e gli infiniti pericoli a cui sono esposti i migranti adulti, sono gli stessi che attentano alla vita dei più piccoli, soli, senza nessuno lì a difenderli.
L’età media degli immigrati infatti diminuisce ogni anno: se qualche decennio fa si aggirava tra i 20 e i 25 anni, dal 2010 si è abbassata fino a diventare inferiore ai 18, poiché molti sono bambini costretti a migrare senza essere accompagnati. Ogni giorno si spostano quarantamila persone, cifra di gran lunga superiore a quella che gli storici si aspettavano negli anni precedenti.
Quando si parla di immigrazione, a volte si può percepire un senso di distacco per quanto avviene nel mar Mediterraneo perché si tratta di realtà lontane (per quanto vicine geograficamente) rispetto alla nostra quotidianità. Tuttavia, Mohamed “ci mette la faccia” e, quando si riesce ad attribuire un volto a qualcuno, quel qualcuno esce dall’anonimato e il fatto di essere persona ce lo fa percepire più vicino.
Durante il suo viaggio in mare e il continuo peregrinare alla ricerca di una casa, Mohamed ha colto il senso, quello vero, della felicità: “La felicità è qualcosa che nessuno ti dà. È la libertà, è come ci si sente conquistando la felicità ogni giorno essendo brave persone e conservare la propria identità. Il sacrificio rende felici se lo si fa per qualcosa a cui si tiene: quando facciamo qualcosa per gli altri, lo stiamo facendo anche per noi stessi.”
L’evento tenutosi in collaborazione con la Biblioteca Giardino di Ferrara, che ha collaborato a questo progetto con altri enti, tra cui Tutori del tempo è stato un incontro intenso, ricco di parole, pensieri ed emozioni che hanno lasciato davvero il segno.
Con il potere delle loro parole hanno sfatato falsi miti, facendoci aprire gli occhi, per mostrarci quanto in realtà ciò che ci viene detto sul tema dell’immigrazione, non sia altro che una caricatura di una realtà che il nostro Paese si rifiuta di affrontare, e di quanto nessuno, se non in bilico tra la vita e la morte, deciderebbe di lasciare la propria casa e i propri affetti per un futuro ignoto.
Credo quindi che questo viaggio non sia altro che una storia che parla di tenacia, lotta per il proprio futuro e soprattutto di amicizia tra chi ha vissuto e ha trovato tra le lenti di un obiettivo e una macchina fotografica un modo di mostrare agli altri il proprio mondo e di chi, tramite le parole, è riuscito a raccontare tutto questo.
Francesca Polo
Mohamed ci ha raccontato, aprendosi nei nostri confronti, di quanto sia stato difficile adattarsi alla situazione nella quale si era ritrovato fin da quando ha dormito insieme ai senzatetto alla stazione di Roma Termini una volta giunto nella capitale. Ha dovuto imparare ad adattarsi, conservando più che poteva la sua identità personale, cercando un barlume di speranza nel nuovo capitolo che andava aprendosi nella sua vita.
Eleonora Oliviero
Mohamed è davvero un ragazzo speciale, pieno di voglia di mettersi in gioco e di andare avanti: infatti, una volta raggiunta una certa stabilità economica ed essere diventato un fotografo affermato- i suoi scatti hanno fatto il giro del mondo-ha deciso di aprire un laboratorio di fotografia in Africa (nella Repubblica del Mali) per aiutare i bambini di strada. Questo giovane rifugiato è un esempio a cui dovremmo fare tutti riferimento quando le speranze sembrano perdute: come Mohamed, bisogna raccogliere quello che si ha, adattarsi, andare avanti e rimanere sempre fedeli a noi stessi.
Vitali Francesco
Ho trovato Mohamed una persona meravigliosa, nonostante tutto il dolore passato, dedito e appassionato di fotografia; ogni volta che parlava del suo lavoro si notava chiaramente come gli occhi si illuminassero oppure si commuovessero quando invece doveva raccontare parti del suo vissuto. Penso che le sue considerazioni sulla felicità siano state un grande spunto di riflessione, come lo è stata allo stesso tempo la testimonianza di migrante che ha dovuto sopportare supplizi non più accettabili e giustificabili nel ventunesimo secolo.
Martina Gilli
Quello che più mi ha colpito è stata la positività con cui Mohamed ha metabolizzato un periodo della sua vita molto doloroso e difficile. Ha detto, infatti: “La felicità è una cosa che nessuno ti dà, è un lavoro di tutti i giorni.”
Gilda Zara
Classe VB, Liceo Ariosto – Ferrara